Escludere il glutine dalla dieta se non per necessità cliniche non è una buona idea. Perché è invece diventata una (pessima) moda alimentare? Probabilmente dipende da una concezione errata e mai dimostrata in letteratura che la dieta senza glutine sia più salutare, faccia perdere peso e migliori le performance sportive. Così cerca di spiegarlo Mauro Bruno, gastroenterologo dell’AO Città della Salute e della Scienza di Torino in occasione del 3° Congresso Nazionale di SINuC, svoltosi nella città della Mole nel giugno scorso. La riflessione scaturisce dal confronto fra i dati del mercato dei prodotti senza glutine e i numeri reali dei malati.
In Italia ci sono quasi 200 mila celiaci certificati, che hanno nella dieta ad esclusione di glutine l’unico trattamento ad oggi riconosciuto valido. Dato comunque sottostimato, precisa il Ministero della Salute, perché considerando i pazienti ancora non diagnosticati il numero potrebbe aggirarsi intorno ai 500mila individui. A questi vanno aggiunti quanti lamentano una sensibilità non celiaca al glutine, circa il 6% della popolazione, con sindromi gastrointestinali come gonfiore, dolore addominale, diarrea e cefalea, ma senza veri danni ai tessuti intestinali, tipici della celiachia.
Fatti i conti dunque ancora non si spiega come mai 6 milioni di persone consumino alimenti senza glutine con, tra l’altro, “un inutile esborso economico”, fa notare l’Associazione Italiana Celiachia (AIC) che denuncia una spesa annua in Italia pari a 105 milioni di euro in prodotti privi di glutine “senza che ve ne sia una reale necessità clinica”.
Il problema è però soprattutto di ordine sanitario: studi in letteratura dimostrano che la dieta priva di glutine è più povera in fibre, acido folico, calcio ed altri minerali e più ricca in grassi saturi, sodio e calorie, ricorda ancora Bruno.
“Per qualche motivo è passata l’idea che il glutine faccia ingrassare e che eliminandolo dalla tavola, si faccia retrocedere l’ago della bilancia” rimarca Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC che fa notare che sarebbe “un tranello, poco noto a coloro non avvezzi a leggere con la dovuta attenzione le etichette dei prodotti: i dolci gluten-free sono spesso più ricchi in calorie, zuccheri, sodio e grassi per compensare la mancanza della proteina e migliorarne sapore e consistenza”.
Il Congresso è stato anche l’occasione per sfatare alcune convinzioni che ancora resistono intorno alla celiachia. E’ una condizione che non riguarda solo bambini e giovani adulti: fino al 25% delle diagnosi interessano gli over-60. La celiachia poi non si accompagna ad un maggiore rischio di tumori. E quando si parla di dieta deve essere chiaro che non sono ammesse trasgressioni: la quantità di glutine in grado di provocare un danno istologico intestinale è inferiore a 50 mg, in pratica poco più di una briciola di pane. La novità invece è che la celiachia si manifesta sempre più in maniera camaleontica con sintomi atipici come l’anemia e la perdita di massa ossea, spia di un malassorbimento di nutrienti. Mentre in altri casi i sintomi sono dermatiti e alopecia che solo dopo un lungo iter vengono ricondotti alla intolleranza al glutine.
Tratto da Nutrizione 33.